IL MIRACOLO TENTATO (E QUASI RIUSCITO) DI GHIRELLI. FUGA IN AVANTI? MEGLIO CHE RINCORRERE UNA RIPARTENZA IMPOSSIBILE. INTANTO IL "MODELLO" TEDESCO FRANA A DRESDA E IL PALAZZO SI AGITA
"Se ci riesco mi dovete fare i complimenti perché vuol dire che ho dei poteri magici”. Prima dell’assemblea, il presidente Ghirelli raccontava così la sua missione. Salvare capra e cavoli, minimizzare per quanto possibile la massa di ricorsi che spaventa tutti i vertici federali, mettere a tacere il brusio di una Lega Pro composita e pronta tanto all’unanimità sui principi generali quanto alle spaccature quando si arriva a toccare interessi particolari. Missione riuscita a metà, pure a tre quarti se vogliamo. Richieste rimesse all’assemblea, che su quasi tutte le questioni dà responsi con percentuali bulgare, di cui il prossimo Consiglio Federale non potrà tenere conto. Anche se sarà difficile, forse impossibile, che tutte le richieste, a partire dalla combinazione blocco retrocessioni-ripescaggi, vengano confermate in blocco dalla FIGC.
La situazione, del resto, era ed è quasi impossibile. L’unica spaccatura, però, è arrivata sul tema della quarta promossa in Serie B. Argomento sul quale, peraltro, i contendenti fanno i conti senza l’oste: se la Lega B, una volta che anche in cadetteria (e magari pure più in alto) ci si renderà conto che finire la stagione è pura utopia, dovesse seguire una strada simile nell’obiettivo di ridurre i ricorsi e i tribunali, la soluzione per conciliare i rispettivi interessi potrebbe essere che una quarta promossa non ci sarà affatto. Con buona pace di chi promette battaglie legali. Che per quanto ci riguarda, ma l’abbiamo già scritto in passato, sono moralmente già perse da chi, in una situazione del genere, le promette. Il buonsenso, però, non si può imporre.
Il criterio giusto non c’è, perché in fin dei conti non esiste. Chi spinge per i playoff dà per scontato che non deluderebbero nessuno, ma giocarli con la stagione ferma è un controsenso. Le prime posizioni sono relativamente consolidate, le altre molto meno, e i ricorsi fioccherebbero pure lì. Senza considerare che votare lo stop del campionato e poi chiedere una lotteria lunga 37 partite lascia il tempo che trova, a rigor di logica. Chi li farebbe poi? Non è un caso che per gli spareggi hanno votato meno della metà delle squadre che vi avrebbero diritto. Farli per soli ricchi, ma anche qua ci si ripete, ammazzerebbe quel poco di sportivo che c’è in questa stagione. In buona sostanza, il dagli al Carpi può suonare facile, ma non è certo colpa degli emiliani se hanno giocato una partita in meno. E, dato che la stagione non si può completare, in quest’emergenza dobbiamo puntare al male minore. Per il resto, ci vediamo l’anno prossimo. Ammesso, come detto, che questo verdetto non si risolva comunque in una doccia fredda.
A proposito di non poter giocare: è stata una fuga in avanti, quella della Lega Pro? Mica tanto, è il resto della compagnia a essere già fuori tempo massimo. La Serie A è impegnata nel prendere la rincorsa contro i mulini a vento, la B pure ma con una convinzione che rasenta lo zero. Si parla di modello tedesco: sta già franando sotto i colpi del Coronavirus, che a Dresda blocca per due settimane una squadra. E parliamo di un Paese, la Germania, con dati così lontani dall’Italia che viene da chiedersi a chi possa seriamente venire in mente di fare un paragone. Intendiamoci: se si potesse tornare a giocare domani, chi scrive farebbe i salti di gioia. Però, tra l’inseguire un sogno impossibile e fare i conti con i duri fatti, forse conviene la via del realismo. Organizzare, riformare, pensare al domani: da queste parti sembriamo una radio rotta, pazienza. Quanto alla D, il presidente Sibilia fa benissimo, da parte sua, a tutelare pubblicamente i propri club. Per la cronaca, sui ripescaggi ha anche ragione e probabilmente la spunterà. Quanto a riforme, però, prima o poi sarà il caso di mettere mano al 34% di voti, una fotografia distorta dei reali valori di forze, soprattutto con la Serie A. Anche perché se, anche in una fase così complicata e delicata, i giochi di potere partono ancora una volta dal basso, allora stiamo davvero freschi. Non darebbe una bella immagine, il Palazzo che si agita mentre tutt’attorno la vita trema.
Cosa succederà? Non lo sa nemmeno Conte, figuriamoci noi. Lo stop della C, appunto, non è una fuga in avanti: è solo l’immagine del tempo che sta scorrendo e scadendo. Il giochino di responsabilità FIGC-Lega Serie A-Governo è agli sgoccioli: di rinvii e dichiarazioni d’intenti sono piene le giornate, anche perché il lavoro dopo lo stop sarà immenso. Ci sono battaglie politiche che il calcio deve fare: per esempio, con le tv per i soldi che in questo momento sono l’unica vera ragione per andare avanti. Con lo stesso Governo, per rivedere quella batosta inaudita e insensata che è stato il decreto dignità. Con le sue componenti, perché una riforma serviva e serve ancora di più. Non è, però, né quella di una B da 40 squadre e per carità nemmeno quella di una C da 65 o 69 squadre (tutte o quasi ipotetiche, ça va sans dire). Semiprofessionismo, defiscalizzazione, un piano serio per l’impiantistica: non sono termini di grido, ma ne parlavamo fino all’altro giorno. La cassa integrazione in deroga, almeno, è arrivata ed è, questo senza dubbi, un piccolo capolavoro. Nell'immediato, cosa si fa senza calcio giocato: mandate avanti la Champions e l'Europa League. Quelle sì che si possono giocare, altro che i playoff di Serie C. Col ricavato si aiutano le serie inferiori. D'estate calciomercato, una riforma per la prossima stagione, ci si organizza perché non vada a carte 48 anche la prossima stagione: a settembre si riparte con un campionato ancora menomato (speriamo il meno possibile) ma non sfigurato da questo maledetto virus. Perché non pensare a tutto questo e preferire lotte di potere che allontanerebbero ancora di più i tifosi dal nostro malandato pallone?