Per la Turris un titolo pronto all'uso, ma dietro c'è il vuoto. Meglio di niente? No, meglio niente!

02.07.2025 14:50 di  Vincenzo Piergallino   vedi letture
Per la Turris un titolo pronto all'uso, ma dietro c'è il vuoto. Meglio di niente? No, meglio niente!

Sembrava che l’umiliazione avesse raggiunto il suo apice con la radiazione. Sembrava. E invece no: al peggio, per la Turris, non c’è davvero mai fine. Dopo mesi di veleni, proclami, illusioni e silenzi assordanti, il tanto atteso “rilancio”, ripartendo dall'inferno dell'Eccellenza, si trasforma in un paradosso grottesco. Il titolo sportivo c’è, è stato concesso dalla FIGC prima ancora del previsto Consiglio Federale. Una risposta formale e concreta alla richiesta del sindaco di Torre del Greco. Ma chi dovrebbe prenderlo in mano… semplicemente non c’è.

E sì, non si sta parlando di rifondare il calcio italiano. Si sta parlando di ripartire da una “misera” Eccellenza — categoria che, con tutto il rispetto, considerando che si sta parlando della quarta città della Campania, dovrebbe rappresentare un punto di partenza, non un Everest da scalare. Eppure, nemmeno per questo gradino minimo si riesce a trovare un imprenditore torrese, uno solo, disposto a metterci la faccia, il cuore e – soprattutto – quei famosi 100mila euro a fondo perduto, indispensabili per avviare l’iter.

Una cifra tutto sommato contenuta se rapportata all’onore (e all’onere) di riportare in vita una storia lunga ottant’anni. Eppure… nulla. La delusione è cocente e, se possibile, ancora più bruciante della radiazione. Perché questa volta la palla è stata servita perfettamente dal Comune: titolo nuovo, pulito, senza bisogno di scippare nomi e identità da altre città. Eppure, il vuoto.

E allora riecco le solite voci, i soliti piani “alternativi”: ripartire da un titolo già esistente, da un’altra piazza, magari a basso costo, con nomi diversi, aspettando un giorno – forse – di tornare a chiamarsi Turris. Un’operazione più semplice, certo, ma che ignora tutto quello che questa maglia dovrebbe rappresentare. Perché bypassare le istituzioni e saltare i filtri, significa rinunciare alla credibilità.

E in tutto questo, il capitolo più paradossale è quello che riguarda Attilio Di Stefano, l’imprenditore pescarese che da settimane dichiara interesse per la Turris ma che, al momento di concretizzare tutto con una semplice mail – nemmeno una PEC – al Comune, non lo fa. Dice di essere impegnato nella cessione del Castelnuovo. Come se le due cose non potessero coesistere. Come se mandare una mail fosse chiedere di scalare l’Himalaya, mancando clamorosamente la prima scadenza istituzionale.

Nel frattempo, una parte della piazza – stanca, confusa o forse assuefatta – guarda altrove. Anziché pretendere risposte, si limita a sperare. E chi prova a far notare le incongruenze, viene, come al solito, accusato di voler affondare quel poco che resta o di scoraggiare chi vuole rilevare la Turris. Ma non è questa la logica da seguire. Non serve una fede cieca nei primi volti che si affacciano al balcone del potere. Non servono salvatori della patria. Serve trasparenza, serietà, rispetto.

Perché se non si è ancora capito, è proprio questa sindrome della sottomissione, questo piegare la testa davanti a chiunque si presenti con un pallone sotto braccio, ad aver condotto la Turris nel baratro più profondo.

La Turris è già stata cancellata una volta. Non merita di essere trafitta dall’ennesimo passo falso travestito da opportunità.