LA CASA DI CORALLO - Stagione n.3 (1993–2001): la rivoluzione di Merolla, il capolavoro di Esposito, la morte di Tricase...
La casa di corallo
Terza stagione (1993 – 2001)
Giugno 1993. C’è un uomo fermo in via Marconi che parla ad uno sparuto gruppo di persone forse incrociato per caso, pare, tifosi della Turris: ‘Non mi importa l’avversario se io ho lavorato per arrivare alla fine. Ti puoi chiamare Savoia, Cavese, come vuoi. Io mi chiamo Turris e non sta scritto da nessuna parte che le cose non possano cambiare’. E fu così che nella casa di corallo entrò la rivoluzione, quella di Antonio Merolla. Questo significa cervelli che rimbombano, tempie che pulsano dal lunedì al sabato ed un passato esanime ai nostri piedi.
Attenzione, però. Non è (solo) una rivoluzione tecnica. Perché se è vero che la Turris 1993/94 mette a ferro e fuoco una città (fino al lutto di Perugia), è anche vero che resterà un esperimento di chimica irripetibile. Non possiamo ridurre tutto a (grandi) numeri e classifica, non sarebbe giusto. C’è qualcosa di più in questo romanzo che brucia l’anima. La verità è che Antonio Merolla e la sua squadra rivoluzioneranno il modo di pensare, di vedere il calcio in città, di affrontare le paure più scivolose dell’animo umano, per sempre. Tutto quello che seguirà sarà figlio di quell’impostazione visionaria dell’allenatore di viale Castelluccio.
Certo che non tutto andrà per il verso giusto. Le stagioni disastrose in C1 1994/1995 e 1995/96, con un elenco di svincoli a campionato in corso che anticiperanno l’era dei casting nei reality show, sono sicuramente il punto più basso: ‘è fantastico vestire questa maglia, la Turris è sempre stata nei miei pensieri’, dicevano i “campioni”. Avanti il prossimo.
Lo so che aspettate la stagione 1996/97, e ci arriviamo adesso. Ma quella storia, con le rivoluzioni, non c’entra nulla. Quello è un capolavoro di ingegneria calcistica nato domenica dopo domenica, perfezionato da Ciccio Esposito (subentrato a Nando Rossi) e da un esercito di calciatori spietati che porteranno a compimento la missione impossibile: Catania, Benevento, semifinali e poi finale; che problema c’è? Sappiate solo che un avversario incerto è un avversario morto (parole e musica di sua maestà Fabrizio Baldini).
Poi però capisci che la rivoluzione è una bestia pericolosa che si nutre anche di vendette e di errori clamorosi. Se sguinzagliata senza controllo, per non morire, arriva a divorare il suo stesso padre. Infatti, dal 1998 in poi, lo spirito del 1993 diventa un po’ visione e un po’ delirio. Manca la capacità, anche minima, di leggere gli scampati pericoli (spareggio playout C2 di Nardò, 2000). Fino a che, nel drammatico giugno 2001, la rivoluzione muore (spareggio playout C2 di Tricase). Così la società dei miracoli nata otto anni prima (con a capo la famiglia Acampora) finisce sotto processo con tanto di tribunale popolare improvvisato nella stessa sede sociale.
Ovviamente il popolo liberato è diventato carceriere, perché la fine di una rivoluzione inverte sempre posizioni e parole. Già, le parole: ‘Non importa voi chi siate o cosa abbiate fatto, adesso dovete farvi da parte. Alla Turris ci pensiamo noi’. Era finita, era successo veramente. La verità è che se vuoi scrivere una pagina nuova a base di vendette ti ritrovi ad aspirare ad una libertà impossibile. Giugno 2001: c’è un uomo fermo in via Cupa Cianfrone, sta cercando una vecchia scritta sul muro. Ma il muro è stato rimesso a nuovo e la scritta, ormai, non c’è più. Ecco fermarsi pure due ragazzi, sembrano incuriositi. Forse troppo giovani per ricordare di quale scritta si tratti. L’uomo li sente proferire soltanto una frase, apparentemente senza senso, un attimo prima di allontanarsi: ‘Mai. Mai ‘na gioia’.
Ettore Troia